Noi di Vortici.it, ci siamo occupati e continueremo a farlo (di tanto in tanto), di ecologia e ambiente. Nel corso del tempo, abbiamo portato alla vostra attenzione esempi green e eco-friendly. C’è un tema importante che negli ultimi tempi ha destato la nostra attenzione e non in maniera superficiale.
La nuova Commissione Europea, fin dal suo insediamento ha proposto un piano per la tutela ambientale: il Green Deal. Abbiamo veramente capito di cosa si tratta? Premettendo doverosamente che non abbiamo certo la presunzione di rispondere al vostro posto, riteniamo che provare ad orientarci un pò sull’argomento si possa e lo si debba fare.
Seppur piccolo, il Green Deal Europeo (l’accordo verde europeo) è comunque un inizio. Si tratta di un regolamento che istituisce il meccanismo per la giusta transizione. Uno strumento finanziario, il cui valore complessivo è di 100 miliardi di euro, suddiviso tra risorse pubbliche e private. Ha come obiettivo il sostegno alla decarbonizzazione delle regioni europee.
È rivolto a tutti quei Paesi, che hanno un’economia dipendente dal carbone e da un’industria ad alta intensità e/o consumo energetico. Lo possiamo considerare un piano green importante ma, per Legambiente può essere migliorato a partire dai criteri per l’utilizzo di queste risorse.
“Ora si apre una nuova fase, nella quale rendere più chiari e rigorosi i criteri proposti per l’utilizzo di queste importanti risorse finanziarie – spiega Edoardo Zanchini, Vicepresidente di Legambiente – escludendo qualsiasi sostegno alle fonti fossili, gas incluso. Solo in questo modo sarà possibile garantire il raggiungimento del loro obiettivo prioritario: la neutralità climatica. Queste risorse devono essere disponibili solo per quelle regioni che si impegnano per la completa decarbonizzazione delle loro economie e devono beneficiarne soprattutto le comunità ed i lavoratori colpiti dalla transizione. Pertanto, i Piani territoriali per la giusta transizione, previsti dal regolamento, devono accelerare l’abbandono di tutte le fonti fossili. Non solo del carbone, ma anche del gas. E investire solo nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica”.
Per Legambiente con queste risorse, si creano le condizioni necessarie per un aumento al 65% dell’obiettivo europeo per il 2030 in coerenza con l’Accordo di Parigi.
“Al Governo italiano – aggiunge Zanchini – chiediamo di presentare un piano per la transizione in modo da garantire che queste risorse non vengano sprecate e vengano investite nelle bonifiche e rinconversione delle zone industriali inquinanti ad alta intensità energetica a partire da Taranto, il siracusano, Gela, Milazzo e delle aree produttive con presenza di centrali a carbone come Brindisi, La Spezia, Monfalcone, Civitavecchia, Porto Torres e il Sulcis. Fino ad oggi, purtroppo, la chiusura delle centrali a carbone ha visto presentare solo proposte di sostituzione con grandi centrali a gas e nulla altro. Non è questo il modo con cui si consente a questi territori di passare dalle fossili alle opportunità che oggi si possono aprire puntando su rinnovabili, rigenerazione urbana e economia circolare. In ognuna di queste aree si deve aprire un tavolo della transizione climatica per garantire davvero percorsi innovativi attraverso la partecipazione delle comunità e per arrivare a definire progetti di bonifica dei suoli, attesi da decenni, e di riconversione industriale possibili grazie alle risorse europee e al cofinanziamento nazionale e regionale che può consentire di mettere in campo risorse pari a quasi 10 miliardi di Euro”.
Si parla di 100 miliardi per abbattere il 40% delle emissioni inquinanti entro il 2030. L’annuncio è stato dato dal vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, al Parlamento Europeo. I nuovi fondi sono pari a soli 7,5 miliardi, che secondo la Commissione Ue realizzeranno da 30-50 miliardi d’investimenti pubblici, ai quali si aggiungono fino a 45 miliardi, provenienti dal vecchio programma di investimenti e 25 in prestiti alle autorità locali. «Trovo esagerato l’entusiasmo suscitato da questo “green new deal” europeo, almeno per ora. 100 miliardi possono sembrare molti, ma tra spostamenti di destinazione dei fondi, leve finanziarie e ricorso ai privati, i fondi veri aggiuntivi sono appunto solo 7,5 miliardi di euro. Con un breve calcolo fanno 277,78 milioni a Paese, 16.82 euro a cittadino, e oltretutto spalmati in dieci anni. Siamo a 27,77 milioni a Paese all’anno, che sta a significare 1,68 euro a cittadino. Consideriamo inoltre che il Regno Unito è fuori dal calcolo», spiega Ciro Mongillo, AD e fondatore di EOS IM, società di gestione fondi di investimento con un forte focus sulla sostenibilità, attiva in tutta Europa e con sede a Londra. «La vera notizia interessante sono piuttosto le parole espresse da Larry Fink, co-fondatore, AD e presidente di BlackRock, che ha in qualche modo imposto un cambio di rotta della finanza: l’unico potere che credo sarà in grado di cambiare veramente le cose».
Black Rock va sottolineato, è la maggior società al mondo di Asset management e il suo Ceo (Amministratore Delegato), Fink ha avvertito i manager della finanza ribadendo anche in quest’intervista che senza sostenibilità nessun sistema d’investimento può garantirsi un futuro. Senza l’intervento della politica, dunque, qualcosa si muove.
Se ci pensiamo bene aggiungo io, basta avere la consapevolezza delle cose, per gettare le basi per un reale cambiamento. Non si può più far finta di niente, i cambiamenti climatici sono già in atto…
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Annapaola Di Ienno